Proprietà Patrizia Valobra
Il 5 ottobre scorso sono stata invitata e ho partecipato all’evento, organizzato dal Comune di Firenze, dal Quartiere 1 e dalla Biblioteca Pietro Thouar, “La biblioteca delle persone: prendi in prestito una memoria”, nell’ambito del progetto Memorie di Resistenza fiorentina (un ringraziamento particolare va a Fulvia Alidori, Mirco Rufilli e Beatrice Molinelli). L’evento si è svolto al Conventino Fuori le Mura. Io ero una delle quindici persone prese via via “in prestito” per raccontare ai ragazzi del Liceo artistico di Porta Romana e dell’I. C. Oltrarno secondaria inferiore Machiavelli una storia in 15 minuti; poi, in altri 15 minuti, per ascoltare e rispondere alle loro domande. Tutto ciò ripetuto a turno a quattro diversi gruppi di ragazzi nell’arco della mattinata.
È stata per me una grande emozione, visto anche il riscontro positivo che ha avuto nei professori e negli allievi, soprattutto quando hanno visto gli oggetti di mio padre che avevo con me, il libro di cui parlo, il fazzoletto partigiano, la fascia del Partito d’azione, le fotografie e, in copia, il diario e i suoi scritti.
Ecco che qui, in occasione dell’anniversario degli 80 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, vi rendo partecipi del mio racconto.
Guardando la mia libreria, lo sguardo si sofferma su un libro di testo che mio padre ha usato nei suoi studi nell’anno scolastico 1937/38. Titolo: Odissea.
Sarà proprio una odissea…
Mi vengono quasi le lacrime agli occhi al pensiero che nel 1938, dopo la promulgazione delle Leggi razziali, verrà espulso da scuola in quanto di famiglia ebraica.
La famiglia era composta dai miei nonni Benvenuto e Aurelia (lei cattolica) e dai loro ben otto figli, quattro maschi e quattro femmine, tutti educati a pane e libertà, antifascisti da sempre. Anche se la famiglia era di religione mista, questo non le permise di sfuggire alle leggi razziste.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre sono tutti costretti a lasciare la loro casa e a trovare rifugio da conoscenti, ma i quattro figli maschi, Enzo (mio padre), Sauro, Cesare e Dante decidono di non nascondersi e di imbracciare le armi, facendo una scelta: l’azione diretta, ben consapevoli di quello a cui andavano incontro. Vengono così indirizzati da Tristano Codignola, esponente del Partito d’azione fiorentino, alla Brigata Rosselli. Si uniranno ai loro amici e correligionari i fratelli Franco e Alfredo Papini.
Anche due delle figlie sceglieranno: Lea (attiva nel Partito d’azione) e Rossana faranno le staffette partigiane; Sara, già sposata, vive vicino Cremona. Anche Velleda, di soli quattordici anni, si presterà nella consegna di alcuni messaggi, consegnando bigliettini in codice anche per Radio Cora.
Ed è così che nel Mugello inizia la loro vita da partigiani.
Combatteranno a Vico di Mugello, poi a Ronta e a Gattaia, dove vengono raggiunti dalla Brigata Checcucci, gruppo di cui facevano parte anche i partigiani di Sesto Fiorentino, operativi nell’area di Monte Morello. Si uniranno quindi a questa Brigata.
Era pieno inverno e per loro, abituati alla vita cittadina, le difficoltà sono enormi anche per il gran freddo, e lì alloggeranno in baracche, una delle quali vicino alla stazione di Fornello.


Per questo ogni tanto a turno, per cambiarsi d’abito, fanno rientro a Firenze dove raggiungono i genitori costretti a nascondersi (cambieranno ben otto abitazioni).
Dante, in uno di questi rientri a Firenze, viene arrestato dalla famosa Banda Carità. Da lui volevano conoscere informazioni dei partigiani, specialmente dei suoi fratelli: viene sottoposto a torture – che gli procureranno anche un distacco del lobo dell’orecchio – ma non rivela niente, solo l’indirizzo della madre che in quel momento risultava essere in via delle Forbici presso una villa dei signori Ricci, anche loro antifascisti. La villa veniva usata non solo per nascondere persone, ma anche come deposito d’armi e per riunioni clandestine. A mezzanotte dello stesso giorno si presenta all’alloggio un gruppo di fascisti, i famosi “Quattro santi”, e lì arrestano il mio nonno, i fratelli Volterra e il figlio di Maria Ricci. Vengono portati anche loro a Villa Triste e torturati, ma non parleranno. La nonna si dice che abbia coinvolto il cardinale Elia Dalla Costa per ottenere la loro liberazione, che avverrà in seguito, ma purtroppo non per i fratelli Volterra che per la paura di conseguenze si dichiarano ebrei e non partigiani e quindi non sono rilasciati ma inviati prima a Fossoli e poi al campo di sterminio di Auschwitz. Non sapevano che anche i Valobra erano ebrei, altrimenti anche loro avrebbero subìto la stessa fine. Il rilascio di Dante si pensa che sia avvenuto per poterlo poi seguire e riuscire così a scoprire il rifugio dei fratelli.
Nel frattempo mio padre Enzo e Sauro parteciperanno al vittorioso attacco al presidio fascista di Vicchio, mentre Cesare è impegnato al recupero di armi.
Un successivo rastrellamento nel Casentino costringe allo sbandamento la formazione; i fratelli Papini vengono catturati e uccisi dal nemico.
I fratelli Valobra, sconvolti, temporaneamente tornano a Firenze e si ricongiungono a Dante; insieme però ripartono per il Monte Giovi. Lì si uniranno le varie brigate e si formerà la 22ª Brigata Garibaldi-Lanciotto Ballerini, con a capo il comandante Potente; si sposteranno in Pratomagno e nel Comune di Cetica e anche lì alloggeranno in baracche. Saranno poi coinvolti nello scontro contro il nemico, e la battaglia lascerà sul campo morte e devastazione. Devono spostarsi e lasciare le loro baracche. Mio padre ha il compito di consegnare al Comando documenti importanti e di custodirli anche a costo della propria vita. Si allontanerà dalla Compagnia con un altro partigiano, arma in pugno e al collo il cannocchiale che gli aveva regalato “il Bartoli” (un loro amico di famiglia che li aveva nascosti all’inizio quando erano stati costretti a lasciare la loro casa).
Dante deve seguire il comandante Brunetto e la Compagnia. A Cetica è già fuoco e fiamme. Ecco però che Brunetto lo rimanda indietro a riprendere quel cannocchiale che mio padre si era portato appresso. Quando lo raggiunge, mio padre gli dice di non tornare indietro (ha un presentimento), ma Dante non ascolta, vuole raggiungere il suo comandante. Purtroppo si imbatte in tedeschi in borghese e viene colpito da una raffica di armi da fuoco e ucciso. Perderanno la vita tanti civili e altri nove compagni di formazione: a lui è stata conferita la Stella garibaldina.
Mio padre Enzo racconta con tanti dettagli quei giorni terribili, scrivendo parole e sensazioni struggenti: pensare che quel cannocchiale che doveva portare forse fortuna è stato ciò che ha determinato la morte di Dante. Ma questo non ferma i fratelli che continueranno a combattere fino alla Liberazione di Firenze (11 agosto 1944).
La zia Rossana dopo la guerra sposerà un ufficiale dell’intelligence americana e si trasferirà negli Stati Uniti. In una conferenza a Missoula anni dopo racconterà il suo operato come staffetta. In una missione dove doveva scortare un soldato americano (tenuto a una certa distanza), si imbatte in un tedesco. È quasi notte sulle colline di Fiesole; lei è impietrita dalla paura ma alla domanda del tedesco che le chiede cosa ci facesse là a quell’ora con il coprifuoco, dice che è lì per raccogliere fragole per la mamma e gli chiede se lui avesse una mamma. Il soldato si commuove e la lascia passare. L’americano poi le domanda perché, dato che in quel cestino di paglia non aveva fragole ma un’arma, non l’avesse ammazzato; e lei risponde che era solo un ragazzo, come il suo fratello Dante di soli diciotto anni ammazzato poco tempo prima. E che lei non sarebbe riuscita a uccidere nessuno. Questa dichiarazione in copia me l’ha donata anni dopo lo zio Sauro.
Ai miei nonni hanno devastato la casa e il loro laboratorio di biancheria; al termine della guerra non avevano più niente, hanno portato via mobilia, oggetti personali, di valore. Una lettera che il mio nonno ha inviato alla Comunità ebraica di Firenze, depositata e custodita nell’archivio storico, testimonia tutto questo.
Dopo la guerra mio padre sposerà mia madre Piera Cassuto, anche lei di religione ebraica, che con la famiglia durante la guerra si era nascosta sopra Borgo San Lorenzo, alla Madonna del Sasso, da dove la notte attraversando il bosco andava però a consegnare rifornimento di cibo ai partigiani nascosti nelle fogne.
Non ho avuto tanti racconti da mio padre in quanto è mancato per una malattia incurabile a soli trentotto anni quando io ero una bambina di soli undici anni, e anche perché dopo la fine della guerra c’era reticenza a parlare. La mia mamma però ha conservato il suo diario, dove racconta quei giorni terribili e anche altri scritti dove descrive la personalità di Dante. Anche dai miei zii non ho avuto racconti; solo nel 2007 lo zio Sauro mi ha consegnato una lettera che mio padre, per mezzo di una staffetta partigiana, gli aveva inviato per comunicargli la morte di Dante (non erano evidentemente insieme a combattere): l’aveva conservata per sessant’anni e in quella occasione mi ha detto che sono io che devo portare avanti la memoria. Quindi io ho aderito al suo volere, ho consultato libri sulla Resistenza e documenti dove si narra della loro partecipazione alla lotta di liberazione.
Negli anni ho riletto quelle pagine scritte da mio padre con tanta emozione, ma non avevo mai pensato prima che forse sarebbero servite, mettendole a disposizione per conservarne la memoria: l’ho fatto, donando in copia all’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea, al CDEC (Centro di documentazione ebraica contemporanea) e all’archivio della Comunità ebraica di Firenze il diario, gli scritti e foto di mio padre con altri partigiani e quindi chi volesse può consultarli. Ho più volte reso testimonianza e mi sono adoperata per far avere dal Comune di Firenze il riconoscimento del Giglio della Liberazione sia a mio padre che ai suoi fratelli e sorelle.
Ai miei nonni hanno devastato la casa e il loro laboratorio di biancheria. Ma chissà come quel libro ODISSEA si è salvato…
Forse un segno, per fare ulteriore testimonianza e per mettere a disposizione la Memoria, necessaria e importante per salvaguardare la nostra Democrazia.
