Lealtà, rispetto dell’autorità, sacralità

Chi partecipa frequentemente alle tefillot di Shabbat presso il Tempio Maggiore di Firenze, sa che quest’anno, nei commenti alla parashà che propongo, mi sto ispirando molto a rav Jonathan Sacks z”l. Già Rabbino Capo di Gran Bretagna e Commonwealth, nominato Lord con un seggio a vita nella Camera dei Lord, è stato un punto di riferimento a livello mondiale, come rabbino che ha saputo integrare in modo mirabile una formazione rabbinica profonda e tradizionale con una capacità di comprendere il mondo contemporaneo e il ruolo che il popolo ebraico può avere in esso in coerenza con la propria missione.

Voglio qui riferirmi a un suo commento alla parashà di Tetzawwé, che provo qui a sintetizzare, sperando di non banalizzarlo. Per chi volesse leggerlo integralmente, si trova, con il titolo The Ethic of Holiness nel suo sito

La parashà citata parla per la maggior parte dei vestiti dei sacerdoti, il cui obiettivo è di dar loro onore e splendore. Per quale motivo la Torà si dilunga su questi abiti? Qual è il senso dell’estetica di questi abiti? C’è un’etica in questa estetica?

Rav Sacks cita il professor Jonathan Haidt, che nel suo libro The Righteous Mind postula che nelle società secolari contemporanee la gamma di sensibilità morale è diventata molto ristretta, con particolare riferimento alle società definite WEIRD ossia occidentali, istruite, industrializzate, ricche e democratiche. Da uno studio di Haidt sui suoi studenti emerge che la moralità è intesa principalmente come composta da due principi fondamentali: il danno e la correttezza. Finché non si danneggia il prossimo si è liberi di fare quel che si vuole. D’altra parte, tenuto conto che non tutti hanno la stessa idea di cosa sia corretto, devono esserci dei parametri di giustizia ed equità che definiscano le libertà di ogni individuo. Se un comportamento è corretto e non danneggia il prossimo è moralmente ammissibile, mentre se è ingiusto o danneggia qualcuno siamo disposti a condannarlo.

Le società non WEIRD hanno invece almeno altre tre dimensioni della vita morale, sottovalutate in quelle WEIRD: la lealtà, il rispetto dell’autorità, la sacralità.

Lealtà è la disponibilità a sacrificarsi per il bene di altri. L’interesse collettivo va considerato insieme a quello personale. Il suo opposto è il tradimento. Questo discorso vale in ambito familiare, cittadino, nazionale. Nelle società occidentali la lealtà è considerata senz’altro un’attitudine positiva, ma non viene vista come un elemento essenziale della moralità, perché la sua assenza non danneggia nessuno, e non è formalmente ingiusta. Anche la logica di mercato, con la scelta del prodotto al miglior costo, spesso spinge, secondo rav Sacks, a mettere in discussione quel rapporto di lealtà che deve sussistere tra cliente e fornitore. Aggiungo io che oggi c’è senza dubbio una maggiore sensibilità al tema dell’ambiente e della sostenibilità, ma si fa molta fatica ad attuare a livello globale politiche serie per invertire lo sfruttamento intensivo delle risorse. La sostenibilità, intesa come sacrificio di oggi per il bene di domani, è un parametro chiave per il futuro dell’umanità e non può che discendere dal senso di lealtà tra gli esseri umani di una stessa generazione, e soprattutto verso i discendenti.

Il rispetto dell’autorità è alla base dell’istruzione, dell’ordine sociale, delle professioni, della giustizia, persino dello sport. Nelle società occidentali questo principio esiste ma è messo sempre più in discussione. Si sente talvolta dire, anche in questi giorni, che è giusto ribellarsi alle forze dell’ordine, o che gli insegnanti sono troppo autoritari. Si pensi alla famosa canzone dei Pink Floyd Another Brick the Wall, che teorizza «we don’t need no education». Soprattutto il motto è che non serve l’autorità se c’è autorevolezza. Non importa che ruolo uno abbia, il rispetto deve guadagnarselo, altrimenti si è autorizzati a non rispettare il ruolo che una persona ricopre. Le società non WEIRD vedono invece nel ruolo stesso un principio di autorità, che ovviamente porta con sé la relativa responsabilità, ma che va comunque rispettato. L’opposto di tale principio è la sovversione.

La sacralità implica la definizione di valori non negoziabili, che non sono soggetti alla libera discrezionalità del singolo ma che devono essere rispettati in ogni caso. Per fare un esempio, l’istituto del matrimonio, con la sua sacralità, oggi è messo in forte discussione e spesso viene visto come una rigidità, un limite alla libertà, o magari, solo un contratto. Ma anche la sacralità della vita umana è messa in discussione. Si pensi a come vengono affrontati i temi di aborto e fine vita, che l’ebraismo tratta in modo articolato, ma in relazione ai quali sempre più spesso si intende la vita come proprietà dell’essere vivente stesso. Il sacro è il luogo di ciò che è più grande di noi, di valori di cui non possiamo sentirci padroni. Secondo rav Sacks, senza il senso del sacro non si può difendere il valore della vita umana.

Il rispetto di questi tre valori crea una comunità morale, un gruppo collettivamente responsabile e, per altro, questi valori sono centrali nell’ebraismo. La creazione di un «reame di sacerdoti» e di un «popolo consacrato» non può fare a meno di essi. L’equità e la giustizia, che erano al centro del mondo dei Patriarchi fino al Monte Sinai e che regolano bene i rapporti tra individui, non bastano. Lo dimostra quello che succede poco dopo con il Vitello d’Oro. Il Mishkan, il Santuario del deserto, trasforma gli ebrei in una nazione. Esso introduce nel popolo ebraico il senso del rispetto per l’autorità dei sacerdoti, così come il senso del sacro, che diventano ingredienti fondamentali per la reciproca lealtà. Questi tre valori diventeranno centrali nel popolo ebraico anche dopo la distruzione dei templi di Gerusalemme, garantendone la continuità e la fedeltà ai valori originali dell’ebraismo.

Queste riflessioni, dimostrano ancora una volta la grande capacità di rav Sacks di comprendere il presente alla luce della tradizione ebraica, e ci fanno capire quanto i nostri valori siano, ancora oggi, come sempre è stato, centrali per le sorti non solo del nostro popolo ma dell’intera umanità. Il problema può essere quanto noi stessi ne siamo consapevoli e quanto intendiamo applicarli, cosa che è una responsabilità primaria del popolo ebraico nel compimento della propria missione nel mondo.

Lealtà, rispetto dell’autorità e sacralità sono certamente dei valori condivisi nelle nostre comunità. Questo non significa che non si debba lavorare per difenderli. Lealtà significa, come detto, sapersi sacrificare per gli altri. Mettere il proprio interesse, che esiste e non va negato, un passo dopo l’interesse collettivo, non solo quello di chi ci troviamo di fronte in un determinato momento. Lealtà è progettualità nei rapporti interpersonali, nella consapevolezza che il progredire della collettività porterà senz’altro molti più benefici di quelli a cui rinunciamo nell’essere leali. Quando diciamo che «kol Israel ‘arevim ze la-zé – tutti i membri del popolo d’Israele sono garanti l’uno dell’altro», non esprimiamo altro che questo principio. Il volontariato di consiglieri, e di chi opera leshem Shamayim (letteralmente: “in nome del Cielo”) per la comunità a qualsiasi titolo, è forse il senso più alto di lealtà che vediamo nelle nostre comunità.

Il rispetto dell’autorità è un valore centrale nell’ebraismo. Esiste persino una benedizione che si deve dire quando si incontra un re, o un presidente di una repubblica: benedetto Colui che ha condiviso il Suo onore con gli esseri umani. L’autorità apicale, secondo i Maestri, ci riporta all’autorità divina. Anche al nostro interno, il rispetto dei ruoli apicali non può mancare, se non altro per la responsabilità che essi si assumono nel ricoprire quei ruoli. Nulla toglie alla possibilità, talvolta al dovere, di criticarne costruttivamente l’operato, ma sempre con rispetto, e l’offesa pubblica non è ammissibile in ogni caso. Esistono rituali e cerimoniali che danno rilevanza all’autorità e che, seppure possano dare un’idea di pomposità, sono necessari a dare importanza a ruoli di responsabilità, il cui mancato rispetto mette a rischio la convivenza comune.

Il senso del sacro esiste nell’ebraismo dall’inizio della sua storia. Ci sono degli ambiti, delle regole, dei principi, degli spazi e dei tempi che sono al di sopra di noi e che non abbiamo il diritto, come ebrei, di mettere in discussione. Come detto, la costruzione del Mishkan e la costituzione del ruolo di sacerdote, il cui accesso è ereditario e non per merito, introducono questo concetto. Nel tempo, la sacralità dello Shabbat è un nostro elemento identitario. Famose le parole di Achad Ha‘am, il quale disse che, più che essere stati gli ebrei a osservare lo Shabbat è stato lo Shabbat a conservare gli ebrei. Se oggi nel mondo il giorno di riposo dal lavoro è considerato quasi ovunque un diritto inalienabile, questo dipende dal fatto che da tre millenni e mezzo noi alziamo il calice del vino all’ingresso dello Shabbat per consacrarlo e difenderlo da ogni intromissione della vita lavorativa e creativa. Secondo rav Sacks questo è uno dei doni più importanti che l’ebraismo ha fatto all’umanità intera: uno spazio di tempo consacrato, la cui priorità è posposta solo al pericolo di vita. Ogni altra cosa viene dopo. Non è solo un diritto inalienabile, ma è dovere di ogni ebreo rispettarlo. Forse l’ambito del sacro è quello che più si scontra con il mondo contemporaneo, soprattutto occidentale, che vede nel sacro, qualcosa di rigido, arcaico, fuori moda. Il termine “dissacrare” oggi ha un’accezione positiva, nel linguaggio corrente, e la conseguenza è la perdita di valori. Quando si sentono associazioni a sproposito tra Shoà e situazioni dei nostri giorni, ci risulta chiaro che si sta intaccando una memoria che dovrebbe essere inviolabile, non solo per noi ebrei ma, quanto meno, per tutti gli europei. Una società che perde i propri valori primari e i propri punti di riferimento inviolabili è una società decadente.

Lealtà, rispetto dell’autorità e senso del sacro, uniti a giustizia e correttezza, sono, nella lettura di rav Sacks, quegli ingredienti che creano una comunità morale e trasformano degli individui autonomi in una collettività responsabile.

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