Il faraone Sheshonq I e la sua spedizione in Palestina

Raffigurazione di alcune città palestinesi conquistate da Sheshonq I (tempio di Karnak a Luxor, antica Tebe): nel registro superiore si può leggere ftisi, Photis (seconda a destra) e ibrm identificata con Be’er Sheva (quinta a destra); nel registro inferiore pa ng[b], Negev (prima a sinistra).

Il faraone Sheshonq I salì al trono nel 945 a.C., come successore di Psusenne II (959-945 a.C.). All’epoca l’Egitto era praticamente diviso in due: a nord regnava il faraone legittimo, con sede nella capitale Tanis nel Delta, mentre a sud, a Tebe, regnavano i Grandi Sacerdoti di Amon, che si erano proclamati faraoni. Questa situazione di doppio potere continuò in Egitto per tutta la XXI dinastia (1069-945 a.C.), fino a quando salì al trono Sheshonq I, che fondò una nuova dinastia, la XXII (945-715 a.C.), e riunificò il potere su tutta la valle del Nilo.
Sheshonq era il generale in capo dell’esercito di Psusenne II e aveva sposato sua figlia Maatkara, matrimonio che gli favorì la successione al trono in mancanza di un erede maschio del faraone. Era inoltre figlio di un principe di nome Nimlot di stirpe libica, e quindi non era egiziano di origine: tribù libiche si erano infatti insediate da molti anni nel delta del Nilo, nella città di Bubasti, acquisendo con il tempo una certa importanza e autonomia; per questo motivo la XXII dinastia viene chiamata “dinastia libica”. 
Per consolidare il suo potere su tutto l’Egitto Sheshonq I nominò suo figlio Iuput comandante in capo dell’esercito e anche Grande Sacerdote di Amon, ponendolo dunque a governare l’Alto Egitto, con la capitale Tebe. Dette poi a un altro figlio, Nimlot, il comando militare di Herakleopolis in Medio Egitto, per avere così sotto controllo tutta la valle del Nilo. Tramite alcuni matrimoni combinati con le sue figlie, consolidò ulteriormente il suo potere. Dopo un periodo di decadenza, iniziato durante la XX dinastia, l’Egitto era diventato nuovamente potente; Sheshonq I inoltre spostò la capitale del regno da Tanis a Bubasti, la sua città di origine, che restò capitale anche con i suoi successori per tutta la XXII dinastia.  
Dal punto di vista politico, Sheshonq I riallacciò i rapporti con Biblo, fondamentalmente per motivi commerciali, mentre si deteriorarono i rapporti con il regno di Giuda in Palestina. Il re Salomone infatti aveva dovuto affrontare una rivolta capeggiata da Geroboamo, che si era rifugiato in Egitto accolto da Sheshonq I.

Salomone cercò pertanto di far morire Geroboamo, ma Geroboamo si levò e fuggì in Egitto da Shishaq re d’Egitto e rimase in Egitto sino alla morte di Salomone (1Re 11,40).

Alla morte di Salomone (930 a.C. ca.) Geroboamo rientrò in Palestina e fondò un nuovo regno, il regno di Israele. A questo punto esistevano due regni ebraici, quello di Giuda a sud, con capitale Gerusalemme, governato da Roboamo successore di Salomone, e quello di Israele a nord, nella regione di Samaria, governato da Geroboamo.
Sheshonq I pensò di approfittare di questa divisione, che generava sicuramente una certa debolezza difensiva, per attaccare Gerusalemme e riconquistare l’area siro-palestinese: era il modo, come in passato, di garantirsi gli sbocchi commerciali e di consolidare il controllo del territorio confinante con l’Egitto. Prese come pretesto una incursione di beduini nel Sinai, nella zona dei Laghi Amari (zona dell’odierna Ismailia), e nel 925 a.C. marciò contro il regno di Giuda. Nella Bibbia è riportato l’evento: 

E nell’anno quinto del re Roboamo, il re d’Egitto Shishaq salì contro Gerusalemme. E portò via i tesori del Santuario e i tesori della corte, tutto portò via; e prese pure tutti gli scudi d’oro che aveva fatto Salomone (1Re 14,25-26).

Ora avvenne che Roboamo, quando vide che il suo regno era stabile e forte, abbandonò la legge del Signore e con lui la abbandonò anche Israele.
E nell’anno quinto del re Roboamo, avendo essi peccato contro il Signore, il re d’Egitto Shishaq salì contro Gerusalemme, con milleduecento carri e sessantamila cavalieri; e venne con lui dall’Egitto una innumerevole turba di Libici, Sukei ed Etiopi. Egli espugnò le città fortificate del territorio di Giuda e arrivò fino a Gerusalemme.
Allora il profeta Scema‘yà si recò da Roboamo e dai principi di Giuda, che si erano radunati a Gerusalemme per fuggire davanti a Shishaq, ed disse loro: “Questo ha detto il Signore: ‘Voi avete abbandonato Me e Io abbandono voi nelle mani di Shishaq’”. E i principi di Israele ed il re si umiliarono e dissero: “Il Signore è giusto”. Quando il Signore vide che si erano umiliati, la Sua parola fu rivolta a Shema‘iyà dicendo: “Essi si sono umiliati e Io non li distruggerò; farò rimanere fra loro un piccolo residuo di scampati e la mia ira non si verserà su Gerusalemme a mezzo di Shishaq; ma diverranno suoi vassalli ed allora sapranno quale differenza vi sia fra servire Me e servire i re della terra”.
Shishaq re d’Egitto salì contro Gerusalemme e portò via i tesori del Santuario e i tesori della corte, tutto portò via; e prese pure gli scudi d’oro che aveva fatto Salomone (2Cronache 12,1-9).              

Parallelamente alle fonti bibliche citate, i fatti relativi al faraone Sheshonq I sono menzionati anche da Giuseppe Flavio (Yosef ben Mattityahu):

[David] consacrò a D-o a Gerusalemme le faretre d’oro e le panoplie che portavano le guardie del corpo di Adado [Hadad-‘Ezer], oggetti che successivamente rapinò il re degli egiziani Sùsakos, che mosse guerra contro suo nipote Roboamo e molte altre ricchezze portò via da Gerusalemme […] (Antichità giudaiche 7, 105).

Ma Salomone, avendo saputo del suo [di Geroboamo] progetto e della sua intenzione, cercò di catturarlo per ucciderlo. Tuttavia Geroboamo, essendone venuto a conoscenza in tempo, si rifugiò da Ìsakos re degli Egiziani e, rimanendo là fino alla morte di Salomone, ne trasse il profitto sia di non subire alcunché da lui, sia di preservarsi per il regno [di Israele] (Ivi 8, 210).

I costumi dei sudditi si adeguano a quelli di coloro che li governano […]. Questo capitò anche ai sudditi di Roboamo – poiché egli si comportava in modo empio e contro la Legge – di darsi da fare per non inimicarsi il re, pur volendo essere probi. Allora D-o mandò, come punitore di costoro che erano stati empi verso di Lui, il re degli Egiziani Ìsokos, riguardo al quale Erodoto, sbagliando, ne attribuisce le imprese a Sesostri. Lo stesso Ìsokos nel quinto anno di regno di Roboamo intraprese una spedizione contro di lui con molte miriadi: infatti lo seguivano 1200 carri da guerra, 60.000 cavalieri, 400.000 fanti; di questi la maggior parte erano Libici e Etiopi. Dilagando nella terra degli Ebrei si impadronì delle città fortificate del regno di Roboamo senza combattere; e dopo averle messe in sicurezza, alla fine si diresse verso Gerusalemme, mentre Roboamo e la folla erano rinchiusi in città durante l’avanzata di Ìsokos, supplicando D-o di concedere vittoria e salvezza; ma non riuscirono a far disporre D-o in loro favore. Allora il profeta Samaia disse loro che D-o aveva deciso di abbandonarli come loro avevano abbandonato il Suo culto. Udendo ciò, subito si abbatterono negli animi e, non scorgendo alcuna salvezza, si affrettarono tutti ad ammettere che giustamente D-o li aveva disprezzati dopo che loro erano stati empi nei Suoi confronti e avevano trasgredito i precetti. D-o, vedendoli così, in quello stato, e che riconoscevano i loro errori, disse al profeta che non li avrebbe annientati ma che tuttavia li avrebbe sottomessi agli Egiziani, perché sapessero cosa fosse più amaro, essere schiavi dell’uomo o di D-o. Dopo che Ìsokos conquistò la Città senza combattere, poiché Roboamo per la paura (lo) aveva accolto, non rispettò gli accordi presi ma saccheggiò il Tempio, svuotò i tesori di D-o e portò via un innumerevole quantitativo d’oro e d’argento del re, non lasciando assolutamente nulla. Portò via anche gli scudi ovali e quelli rotondi che aveva offerto re Salomone e non lasciò neanche le faretre d’oro che David aveva consacrato a D-o dopo averle prese dal re di Sofene e, fatto questo, se ne ritornò nel suo Paese.
Anche Erodoto di Alicarnasso racconta di questa spedizione [cfr Storie II, 102], sbagliando solo il nome del re e che avanzò contro molti altri popoli, e che sottomise la Siria Palestina catturando gli abitanti senza combattere. Ma è chiaro che vuole intendere che fu il nostro popolo a essere stato saccheggiato dagli Egiziani (Ivi VIII, 252-261). 

Nei vari nomi del faraone è stato identificato infatti il nome di Sheshonq I. 
Gerusalemme decise di sottomettersi e consegnò agli Egiziani il tesoro di Salomone (ma non l’Arca dell’Alleanza); il faraone però non si accontentò di essersi impossessato del regno di Giuda e marciò anche contro l’antico protetto Geroboamo, conquistando anche il regno di Israele. Risalì quindi fino a Megiddo, dove fece erigere una stele commemorativa per ricordare la sua campagna vittoriosa, e rientrò in Egitto passando da Ashkelon e Gaza.
Il predominio dell’Egitto sui regni di Israele e di Giuda durò però poco, e sotto i successori di Sheshonq I l’Egitto si trovò di nuovo a doversi alleare con i Paesi siro-palestinesi per arginare l’espansione assira.   
Sheshonq I ricordò la sua campagna militare vittoriosa in Palestina in occasione di alcuni grandi ampliamenti che fece costruire nell’importante tempio di Karnak a Tebe, dedicato al dio Amon. Fra questi ampliamenti è da annoverare il cosiddetto Portico di Bubasti, nei pressi del muro meridionale del tempio: su questo muro fece incidere una lunga iscrizione per celebrare le sue vittorie in Palestina: «Distruzione dei capi delle tribù della Nubia, di tutte le inaccessibili terre straniere, di tutte le terre di Fenkhu [zona siro-palestinese], delle terre dei confini settentrionali». Il dio Amon è raffigurato in atto di offrire a Sheshonq I le numerose (oltre cento) località conquistate dal faraone, che sono rappresentate ciascuna come un prigioniero con le braccia legate dietro la schiena: la testa dei prigionieri riporta la tipica fisionomia con la lunga barba a punta, con la quale gli Egiziani rappresentavano gli asiatici del Vicino Oriente. Ogni prigioniero sormonta una forma ovale identificabile con le mura fortificate della città, all’interno della quale è scritto in geroglifici il nome della città conquistata. Non tutti i nomi sono stati identificati con sicurezza, ma alcuni, come Beit She’an, Aruna o Megiddo, si leggono chiaramente. 
Sheshonq I morì nel 924 a.C., poco tempo dopo la sua vittoria in Palestina; il luogo della sua sepoltura rimane fino ad ora sconosciuto.

Nota bibliografica

Bibbia ebraica, a cura di Rav Dario Disegni, Firenze 2003
Flavius Josephus, Antiquitates Judaicae, B. Niese ed., Weidmann, Berlin 1892 (traduzione dal greco di D.N.)
N. Grimal, Storia dell’antico Egitto, Milano 2000
M.C. Guidotti, V. Cortese, Antico Egitto. Arte, storia, civiltà, Firenze 2021 (seconda edizione)

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