Apeirogon

di Colum McCann. Feltrinelli
recensione di Marinella Mannelli

Lo dico subito. Questo è uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi anni, e ne leggo tanti…
È un libro potente, intenso, che ci tiene incollati alle pagine e ci catapulta nel conflitto israelo-palestinese dalla prospettiva di due padri che hanno perso una figlia.
Il loro strazio prende allo stomaco e lacera la carne, e quella guerra ostinata, che da troppo tempo dura e sembra senza soluzione, diventa ad ogni pagina meno sopportabile.
Loro sono Bassam Aramin, padre di Abir, ex terrorista palestinese pentito, e Rami Elhanan, padre di Smadar, pubblicista israeliano.

Paragrafo 69: «Smadar. Dal Cantico dei Cantici. Il grappolo della vigna. Il fiore che si schiude».
Paragrafo 70: «Abir. Dall’arabo antico. Il profumo. La fragranza del fiore».
Smadar ha tredici anni, quando, nel 1997, perde la vita per un attentato kamikaze palestinese; era con le amiche e ascoltava Nothing compares 2U di Sinéad O’Connor.

Siamo nel 2007, la piccola Abir, di dieci anni, esce un attimo da scuola per comprare un braccialetto di caramelle, e viene uccisa da un proiettile di gomma sparato da un giovane militare israeliano.
Bassam e Rami, prima nemici, si incontrano in Combattenti per la Pace, un movimento nato nel 2005, costituito da israeliani e palestinesi che perseguono l’ideale di una convivenza pacifica fra i popoli conquistata servendosi dell’arma della nonviolenza.

Prima si squadrano, poi si riconoscono l’uno nel dolore dell’altro.

Girano il mondo e raccontano la tragedia che li ha uniti, il dolore impossibile da lenire, che però non si è trasformato in vendetta, perché la vendetta è una spirale senza fine che non restituisce i morti alla vita.
L’apeirogon, che dà il titolo al libro, è un poligono che ha un numero infinito di lati e l’autore li percorre in lungo e in largo, soffermandosi sui particolari, andando prima indietro, poi avanti, battendo strade già percorse e cercandone di nuove.
Il risultato non è il caos; sono 1001 paragrafi, alcuni lunghi e altri composti da una sola frase, nei quali McCann con una precisione autoptica scandaglia la morte di Abir e Smadar, setaccia le biografie di Bassam e Rami, un palestinese che studia la Shoà e un israeliano contro l’occupazione.

Attraversa quella terra martoriata segnata da muri e checkpoint, dove a distanza di pochi metri l’orologio segna un’ora diversa.
Le colline di Gerusalemme immerse nella nebbia aprono il racconto e quelle di Gerico avvolte nell’oscurità lo chiudono, in un cerchio che alla fine è la rappresentazione geometrica dell’apeirogon.

Paragrafo 65: «Non finirà finché non parliamo».
Potrebbe sembrare che, alla luce di quanto accaduto il 7 ottobre 2023, questo testo sia superato.

Non è così; questo libro implora pace, ed è unendomi a questa preghiera, che ne propongo la lettura.

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