Coppe di Elia e Miriam: una simmetria in divenire

Il quinto bicchiere nel seder viene menzionato la prima volta da rav Tarfon (la tradizione lo vuole morto in Galilea, a Meron, nel 130 e.v.) presumibilmente con una intenzione di evocare il ricordo denso di nostalgia per la distruzione del Tempio. Si è sollevata subito una disputa sul ruolo e l’opportunità di quel bicchiere aggiunto ai quattro d’obbligo. La discussione ha avuto seguito nel periodo dei Gheonim (750-1254), il dibattito prosegue tra le due scuole di Babilonia, Sura e Pumbedita, continua nel periodo successivo per emergere in modo differenziato nella tradizione ashkenazita da quella sefardita. La prima sostanzialmente ignorava quella usanza, come si nota nell’insegnamento del Rema (acronimo ebraico di Moshe ben Israel Isserles, morto a Cracovia nel 1572); una minoranza, però, la riteneva “consentita”, mentre nella tradizione sefardita non solo la ritenevano consentita ma era considerata una mitzwà, un precetto. Le comunità ebraiche dello Yemen erano le uniche nelle quali l’uso di bere il quinto bicchiere persisteva.
Se per i quattro bicchieri tutti concordavano che rappresentano la “redenzione generale” – «והוצאתי , vi ho fatto uscire», « והצלתי, e vi ho salvato» (Fig. 1), «וגאלתי , e vi ho riscattato», «ולקחתי, e vi ho preso» –  la quinta – «והבאתי, e vi ho portato» – riguarda la “salvezza personale”. Il primo, che si conosca, a collegare il bicchiere suppletivo del seder al profeta Elia è rav Aharon ha-Levi Sion (conosciuto come Zelikman da Binga o Bingen sul Reno, morto nel 1470).

Fig. 1
Coppa di Elia, argento sbalzato inciso interno dorato H. 114 mm. Augsburg, Germania 1761.

Nel suo commento alla Masekhet Pesachim (della Mishnà) annota che, siccome attendiamo l’arrivo di Elia, «per questo gli viene preparato un bicchiere di vino che deve anche lui bere». Il Maharal (Yehuda Lëw ben Bezalel, morto a Praga nel 1609) insegna che dopo la nostra redenzione dagli stranieri, abbiamo bisogno della benedizione di D-o per avere mezzi di sussistenza abbondanti, perché l’essere redenti e poi soffrire il dolore della povertà non costituisce una piena “redenzione”.  Secondo i חז״ל «Il sostentamento di un uomo è più difficile della sua redenzione», e da qui l’associazione al profeta Elia considerato colui che annuncerà l’arrivo del Messia. Oltre che nel seder, viene invocato nella cerimonia della circoncisione, nella benedizione del cibo e nella havdalà al termine dello Shabbat e delle festività.

Fig. 2. Coppa di Elia, Johann Kownatzky, argento interno dorato. Tilsit Prussia (Sovetsk Russia) 1768, con personalizzazione aggiunta applicando delle monete inizio dell’800, H. 102 mm. Donazione Dr. Harry G. Friedman, Jewish Museum New York.


Sono diverse le tradizioni riguardo al vino versato nel bicchiere di Elia: considerando l’associazione alla sussistenza, c’è chi ritiene che l’onore di berlo come buon auspicio sia del padrone di casa; alcuni seguono un’usanza di condividere il contenuto fra tutti i commensali, mescolandolo al vino del quarto bicchiere; la più seguita è l’usanza di conservalo per il qiddush del giorno seguente (tenendo intanto il bicchiere coperto); i Chabad riversano il contenuto nella bottiglia. Il Gaon di Vilna (Elia ben Shlomo Zalman, morto a Vilnius nel 1797) a riguardo annota: «Il quinto bicchiere chiamato “Coppa di Elia”, dato che quando verrà dissiperà il dubbio, sapremo se deve essere bevuto!»

Fig. 3. Coppa di Elia, argento inciso H. 190 mm. Germania ’800.
Fig. 4. Coppa di Elia, nichel finitura colore argento o oro H. 241 mm. in produzione corrente.

L’affascinante disputa, tipicamente ebraica, riportata qui solo nella sua essenza, non ha affrontato la questione della tipologia della forma del recipiente, per cui spesso e volentieri si usava dedicare un oggetto d’uso, magari di particolare affezione o pregio, già in possesso o acquisito con tale intenzione, “elevandolo” a funzione liturgica. Un concetto ebraico recita: מעלין בקודש ולא מורידין (si può innalzare, ma non abbassare la destinazione di un oggetto già dedicato ad uso liturgico).
A volte si esprimeva una ulteriore esplicitazione attraverso una iscrizione o un motivo decorativo connessi alla funzione, alla ricorrenza o alla persona (Fig. 2), anche per la Coppa di Elia. Le diciture più ricorrenti incise prevalentemente in ebraico, riprese dalla Haggadà sono; Pesach, kos Eliyahu, (Fig. 3), frammenti della benedizione o insegnamenti recitati in quella occasione. Lo stesso avviene con illustrazioni che riguardano, ad esempio, un grappolo di uva o un tralcio di vite, due esploratori che portano un grappolo appeso su bastone, i “quattro figli d’Israele”.

Fig. 5 (a sinistra). Coppa di Elia, argento sbalzato inciso punzonato parzialmente dorato H.102 mm. Germania 1850 circa. Fronte: iscrizione in ebraico «Pesach»; retro: nella foto intorno al leone iscrizione «questo è il bicchiere di Elia ha-navì z”l».

Ci sono casi dove le immagini sono suggerite per puro diletto: la propria sinagoga, il Muro Occidentale o lo skyline di fantasia di Gerusalemme (Fig. 4), molto abusato negli ultimi anni.
Il contenuto minimo di vino necessario per la benedizione dovrebbe essere il quarto di un log, cioè circa il quarto di un sextarium che sono 75cc., però l’usanza è di considerare 86cc. come minimo per uscire dall’obbligo, che nella Ghematria equivale alla parola כוס che significa bicchiere.
Nei paesi della Mitteleuropa e nella “Zona di residenza” la tipologia preferita è stata il becher, tazza in yiddish, a forma di bicchiere (Fig. 5) svasato o a tulipano, di dimensioni contenute, in argento, cristallo o, più raramente, in ceramica. La manifattura seguiva quella in uso nei luoghi di residenza e le tendenze stilistiche in voga in un dato periodo. È plausibile ritenere che la preferenza della tipologia a bicchiere venisse adottata per distinguersi dalla tipologia a calice e dal suo significato, in uso nella ritualità cristiana; comunque – e in parallelo – dalla seconda metà  del Settecento la preferenza si è progressivamente spostata verso il calice o la coppa, una tipologia rialzata.

Fig. 6. Coppa di Miriam H.140 mm. In produzione corrente. Legno tornito decorato a mano, artista e produttore Yair Emanuele, Gerusalemme.

Possiamo ipotizzare che questa evoluzione di gusto segua l’emancipazione e non è da escludere che risenta indirettamente delle leggende celtiche e dei miti del santo Graal che avevano guadagnato intanto una notevole fortuna.
L’attenzione crescente verso la parità di genere, molto promossa dagli ebrei riformati nell’America settentrionale, ha “rinnovato” l’usanza di affiancare alla Coppa di Elia quella dedicata a Miriam, sorella di Moshé e Aharon. Miriam è una figura femminile di forte suggestione, nome assonante in ebraico alla parola acqua, e l’acqua è a lei associata numerose volte. A proposito possiamo notare l’uso nel seder di indurre le donne al ballo e al canto di gratitudine a D-o, a seguito del miracoloso passaggio del Mar Rosso. Nella Coppa a lei dedicata (Fig. 6) viene versata acqua, e le donne presenti sono invitate a farlo dal loro bicchiere, una condivisione accompagnata da una benedizione e da un rito non ancora univoci ma che ha avuto presa e veloce diffusione, ritualità tollerata, almeno in parte, dalla ortodossia. 
Le tradizioni religiose solo apparentemente sono solide, inamovibili, ma come avvenuto con l’introduzione e l’associazione poi del quinto bicchiere del seder ad Elia, che per la nostra generazione non è più in discussione, verosimilmente avverrà lo stesso con il sesto bicchiere dedicato a Miriam.

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