Bioetica e tradizione ebraica

In questo anno 2022 l’AME, Associazione Medica Ebraica, con la sua presidente Rosanna Supino, ha sentito l’esigenza, anche alla luce del continuo rinnovarsi della scienza e della tecnica medica, di rivedere, aggiornare e pubblicare nuovamente il documento a cura di Cesare Efrati  Aspetti di bioetica medica alla luce della tradizione ebraica già apparso nel 2010, al fine, come sosteneva il grande rabbino, medico e filosofo Maimonide già nel XII secolo, di assicurare una buona cura per il fisico ma anche per lo spirito di ciascuno. 
Nella precedente stesura del documento, con l’obbligo di salvaguardare sempre e comunque la vita, si era parlato già, affrontandoli dal punto di vista ebraico, di argomenti estremamente delicati come le problematiche di inizio vita (sperimentazione clinica, cellule staminali, riduzione embrionale, clonazione), le problematiche relative al fine vita (informazioni ai pazienti terminali, trattamento del malato terminale, sedazione, eutanasia e accanimento terapeutico, testamento biologico, autopsia, decesso, sepoltura trapianto di organi) e del trattamento del malato secondo le regole dello Shabbat.
A distanza di dodici anni due sono i capitoli che alla luce delle recenti scoperte scientifiche e tecnologiche sono andati ad arricchire la discussione e che sono stati sviluppati: l’Analisi genetica e il Testamento biologico, con i quali oggi dobbiamo affrontare numerosi problemi anche dal punto di vista ebraico.
Ne fa una breve presentazione il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, medico che è stato vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, affermando che l’ebraismo si occupa di bioetica fin dalle sue origini, anche se questo termine si è imposto nel mondo moderno nella sua interezza solo in epoca molto recente. 
L’Analisi genetica ci permette di individuare in un paziente la sua eventuale predisposizione a sviluppare determinate patologie oppure, per esempio, di  stabilire a priori, in due coniugi portatori sani di un carattere genetico recessivo, la possibilità di generare un figlio affetto da tale malattia, facendo così opera di prevenzione fin da prima del concepimento impedendo che entrambe le copie del gene difettoso passino nel nascituro. Questa indagine preventiva è stata raccomandata specialmente in zone dove certe patologie sono molto diffuse o entro gruppi di popolazioni, anche fra gli ebrei, che statisticamente ne possono risultare affetti.

Il Testamento biologico invece deve essere trattato da più punti di vista perché ebraicamente è dovere del medico curare al meglio un paziente ed è contemporaneamente dovere del paziente farsi curare al meglio delle possibilità. Ma seguendo determinate regole. Questo comporta necessariamente anche di dover richiedere al paziente il suo consenso informato circa il trattamento terapeutico, e in qualche caso anche questo non è così semplice da farsi. Al di là poi del doveroso rifiuto di un inutile accanimento terapeutico da operare su un paziente, si potrebbero evidenziare in alcuni casi contrapposizioni fra le due volontà, quella del medico e quella del paziente, se nel testamento biologico un ebreo indicasse per sé limitazioni a trattamenti clinici che non ritenesse halakhicamente possibili. Questo problema viene affrontato coinvolgendo nelle decisioni di ciascuno, oltre agli specialisti sanitari, anche rabbini esperti di questi particolari problemi che aiutino alla loro composizione. Nei casi di condizione patologica irreversibile sono ebraicamente vietate pratiche di eutanasia attiva e di suicidio assistito, mentre più sfaccettato è il problema dell’eutanasia passiva che dipende dal tipo di farmaci o di trattamenti che si potrebbe decidere di sospendere per permettere una morte naturale del paziente. Il dibattito è ancora molto aperto circa la alimentazione, l’idratazione e l’ossigenazione forzate per un paziente non autosufficiente, anche perché una volta avviate queste procedure sarebbe difficile stabilire come e quando “staccare la spina”.

A completamento del tutto sono state fatte e riportate da AME alcune considerazioni sulla responsabilità tecnica e legale del medico secondo la Torà e alla luce del Talmud, e infine una rassegna di alcune fonti rabbiniche recenti e autorevoli sugli argomenti più problematici considerati.
Inoltre si sottolinea anche che in una società sempre più multietnica è indispensabile che anche le strutture socio-sanitarie di ricovero e cura si adeguino al fine di garantire il rispetto della diversità adottando una Carta delle buone pratiche per il pluralismo religioso e l’assistenza spirituale nei luoghi di cura, e da molte parti questo processo è già stato avviato. Il Parlamento italiano ha iniziato a discutere di modifiche delle leggi riguardanti fine vita, accanimento terapeutico, eutanasia attiva e passiva che vengono affrontati con modalità diverse a seconda del credo religioso. Il lavoro da compiere è certamente lungo, faticoso, delicato e dispendioso. Ma è un lavoro che deve essere portato a termine anche perché un ampio dibattito si è svolto non solo in Italia ma in Europa e nel mondo su questi problemi comuni che devono trovare una giusta composizione. Ed è quanto AME si è impegnata a fare da tempo.

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