Schiave ebree violentate nella “accogliente” Livorno del ’600

F. Zucchi, Stampa della città di Livorno (incisione mm. 141×222), 1751.
in: Thomas Salmon, Lo Stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo, vol. 21, Venezia, Albrizzi, 1757

Prima dell’estate ha avuto notevole risonanza a livello internazionale, nazionale e locale uno studio pubblicato dalla storica israeliana Tamar Herzig sul numero di marzo della American Historical Review: “Slavery and interethnic sexual violence. A multiple perpetrator rape in Seventeenth-century Livorno”.(*) 

Al di là del clamore mediatico suscitato, l’indubbio merito dell’articolo sta nell’aver portato alla ribalta un triste episodio noto finora solo alla ristretta cerchia degli addetti ai lavori e di averlo rivisitato in chiave di genere. Basandosi su alcuni documenti già pubblicati da Renzo Toaff nel 1986 e arricchendoli con altri inediti rintracciati negli archivi livornesi, la studiosa porta alla luce un episodio estremamente increscioso in cui un gruppo di schiave ebree, partite insieme ad altri dalla città marocchina di Tétouan per sfuggire a una carestia e razziate dai corsari dell’Ordine di Santo Stefano nei pressi di Tunisi, giunte nel porto di Livorno nell’estate del 1610 furono stuprate e seviziate da uomini detenuti nel “Bagno” – schiavi soprattutto musulmani e “forzati” cattolici –  dopo essere state gettate nei loro alloggi dal sorvegliante che avrebbe dovuto garantire la loro incolumità. Il personaggio responsabile del grave oltraggio perpetrato ai danni di quelle donne, ma con il chiaro intento di colpire la “Nazione ebrea” di Livorno e i suoi maggiorenti maschi, era Bernardetto (o Bernadetto) Borromei (o Buonromei), primo gonfaloniere togato della città di Livorno, incaricato dal granduca di Toscana Cosimo II della funzione di “medico fiscale” per le galere.

Non si tratta, quindi, di una vera “scoperta”, dato che i fatti erano noti agli studiosi, come si evince dal ricchissimo apparato di note. È vero però che gli storici precedenti si erano focalizzati soprattutto sul carattere pesantemente antisemita del comportamento del Borromei. Tamar Herzig, invece, rivisita e arricchisce quelle fonti facendone una lettura centrata sulle donne e rendendo così la sua ricerca particolarmente attuale.

Nella Livorno del ’600 la quantità di schiavi reclusi nel “Bagno” – tutti di proprietà del Granduca e in gran parte in attesa di riscatto – era notevole. Gli schiavi ebrei, a differenza di quelli musulmani, non potevano contare sulla politica della reciprocità che tratteneva i governanti cattolici dall’infliggere maltrattamenti nel timore di ritorsioni sugli schiavi cattolici prigionieri nei Paesi musulmani, né potevano sperare di essere oggetto di scambio. La quantità crescente di schiavi ebrei catturati nel Mediterraneo e nel Nord Africa aveva indotto la “Nazione ebrea” a dotarsi, nel 1606, di una “Cassa per il Riscatto degli Schiavi” (Pidyon shebuyim nella traslitterazione di Toaff), i cui fondi dovevano servire a riscattare quei prigionieri le cui famiglie non avessero possibilità economiche; a tal scopo i Massari avevano deciso – con il consenso del Granduca – di imporre ai mercanti ebrei una specifica tassa per finanziare quei riscatti, non senza una polemica con i mercanti pisani che avrebbe portato nel 1616 ad una tassa imposta anche a Pisa per decreto granducale.

E tuttavia, nel caso degli ebrei originari di Tétouan si verificarono esitazioni e ritardi; senza voler pensare a una scarsa solidarietà degli ebrei livornesi per quei correligionari poveri e marocchini, si possono fare alcune ipotesi: o il fondo non era sufficiente, o forse il timore – sostenuto anche da direttive halakhiche – che, vista la fama di ricchezza della comunità livornese, la disponibilità al pagamento di ricchi riscatti potesse essere un incentivo ad ulteriori razzie trattenne i Massari dall’aderire subito e senza riserve alle richieste del Borromei. Anche dalla comunità di origine in Marocco non era possibile aspettarsi aiuto, sia per le misere condizioni economiche delle famiglie sia per una guerra civile allora in corso. Fatto sta che il solerte ufficiale ritenne di dover agire negli «interessi [economici] di Sua Altezza Serenissima» il granduca Cosimo II e decise di dare una lezione alla comunità ordinando che le donne ebree fossero messe nei dormitori degli uomini, dandole letteralmente “in pasto” a un’orda di uomini fra i quali non mancavano i delinquenti comuni condannati per crimini sessuali e quelli che potevano avere forti motivi di risentimento verso gli ebrei (Herzig fa notare che ebrei sefarditi e moriscos erano fortemente coinvolti nelle negoziazioni per il riscatto degli schiavi catturati nel Nord Africa e che anche fra gli ebrei di Livorno c’era chi acquistava schiavi musulmani). 

Le conseguenze di questo stupro di massa (multiple perpetrator rape) si rilevano soltanto dalle lettere di protesta inviate dai Massari al Granduca. Herzig sottolinea con forza il “silenziamento” delle vittime, soprattutto delle donne, nelle fonti archivistiche: lo stupro non compare mai nei documenti del Borromei, che ammette soltanto di aver fatto rasare gli ebrei. Ma nelle suppliche dei Massari, sebbene l’accento sia posto sul “disonore” subito dalle donne, non si tacciono le violenze alle quali sono state sottoposte né le tragiche conseguenze provocate loro sul piano fisico e mentale: 

[…] [una] di quelle povere donne state violate e disonorate, è uscita di senno e vinta dalla disperazione ha gettato una figliola per la finestra la quale è in pericolo di vita et una creatura che si trova al petto voleva fare il simile, se non che fu impedita […] ella la meschina l’hanno ligata di mani e di piedi  e posta all’ospedale acciò ancor lei a precipitare (ASL, Gov. Aud., filza 2602, vol. 1, fol. 418r; Herzig p. 214 in inglese. Le citazioni in italiano sono tratte dai documenti originali pubblicati da Renzo Toaff in Studi livornesi I, 1986, NdR).

Ricevuta la prima supplica dei Massari, il Granduca rimise la questione all’allora governatore Fra Antonio Martelli perché investigasse, ma benché il resoconto del Martelli indicasse chiaramente che la crudeltà del Borromei era andata ben oltre i limiti di maltrattamento degli schiavi accettabili per ottenere alti riscatti, il Granduca non ritenne di doverlo punire né esautorare dall’incarico, che anzi gli venne riconfermato nel settembre 1610.

Riporto qui le parole del Martelli, sulle quali molto si sono basati gli studi precedenti per condannare la «barbarie antisemita» insita nell’esecrabile comportamento del Borromei: 

[… ] dal dottor Bernadetto venne datto alli homini et alle donne punta di piedi nel petto et s[and]agliate, e vinto con la sua solita colera fece arapare li Ebrei e farli untare il capo et il volto, in scambio di sapone, con carne di porco salata, per spregio, e le donne le fece mettere nel bagnio delle galere vecchie e parte in altro bagnio sole, dove vi era gran quantità di schiavi et forzati, senza dir niente al Capitano del Bagnio, ma fattolo albitrariamente; […] (ASL, Gov. Aud., ivi, fol. 414r; Herzig p. 207 in inglese).

La decisione del Granduca non fu gradita ai Massari, che nella seconda supplica del 22 settembre fornirono un resoconto insolitamente dettagliato delle violenze sessuali agite sui corpi delle schiave (vedi supra) e denunciarono che «ben tardi è stato il soccorso» ordinato dal Governatore, per cui richiesero che in futuro fosse dato «il carico delli schiavi Hebrei a qual si voglia altra persona che non sia il Dottor Bernadetto, che sì crudelmente da lui son maltrattati e martor[iati] contro la Santa Mente di V.A.S. […]». Ma, dopo una ulteriore indagine, il Granduca accettò per buona l’autodifesa e la business strategy del Borromei e non solo lo confermò nella sua posizione privilegiata ma patrocinò anche la scultura del busto che adorna il suo sepolcro nella cattedrale. Evidentemente, anche per la tollerante e illuminata politica dei Medici del tempo, sulla quale la ricerca di Tamar Herzig getta un’ombra inquietante, erano gli interessi economici e i rapporti di potere a prevalere su tutto. Ancora oggi la figura di Bernardetto Borromei gode di discreto prestigio nella città di Livorno, che gli ha dedicato anche una strada.

(*) Vedi, p. es., Ariel David in Ha’aretz Apr. 28, 2022; Monia Sangermano in MeteoWeb 18 maggio 2022 (ripreso da Morashà: https://morasha.it/lo-stupro-di-massa-di-donne-ebree-a-livorno-nel-1610/); Alex Saragosa in Il Venerdì 10 giugno 2022; Gadi Polacco in Livornopress 11 giugno 2022; Mauro Zucchelli in Il Tirreno 4 luglio 2022, ecc.
Ringrazio Lucia Frattarelli Fischer per la preziosa consulenza

Abbonati a Toscana ebraica

LEGGI TUTTO IL GIORNALE IN DIGITALE A SOLI 30€ L' ANNO