Si è creduto a lungo che la Comunità ebraica di Pitigliano fosse stata la sola in Maremma, per di più isolata in un contesto rurale, ma le vicende degli ebrei nel territorio maremmano risultano molto più articolate e complesse di quanto si credesse finora.
È quanto risulta dal mio libro Gli ebrei nella Maremma e la Comunità di Pitigliano, edito dall’editrice Effigi, che delinea con ampiezza la presenza ebraica nella Bassa Toscana, facendo perno sulla Comunità ebraica di Pitigliano, la quale assorbì nel tempo le altre Comunità ebraiche del territorio maremmano.
Il libro evidenzia anche le vicende attraverso cui si crearono in questa zona esemplari condizioni di convivenza tra ebrei e cristiani nel lungo periodo di ben cinque secoli.
Infatti gli ebrei erano presenti in Maremma, come in tutta l’Italia Centrale, già nel Quattrocento attorno ai Banchi di Prestito, che svolgevano un servizio essenziale per le comunità a economia agricola.
Una situazione del tutto nuova e drammatica si delineò quando furono emanate nel 1555 e nel 1569 le Bolle papali di restrizione e poi di espulsione degli ebrei da tutti i luoghi dello Stato Pontificio, con l’eccezione di Roma ed Ancona.
Anche Cosimo I dei Medici in Toscana emise provvedimenti, che nel 1570 concentrarono nei ghetti gli ebrei dello Stato fiorentino a Firenze e nel 1571 quelli dello Stato senese a Siena.
Però lungo il confine tra la Toscana e lo Stato della Chiesa esistevano alcuni feudi del tutto autonomi, i cui Signori non applicarono le Bolle pontificie, ma accolsero e protessero gli ebrei.
Nella parte meridionale le Contee di Pitigliano degli Orsini, di Santa Fiora degli Sforza, di Castellottieri degli Ottieri e il Ducato di Castro dei Farnese confinavano fra loro, formando una sorta di miniregione abbastanza grande, dove si radicarono una dozzina di Comunità ebraiche già esistenti (Pitigliano, Sorano, Santa Fiora, Castro, Valentano, Proceno, Latera, Farnese) o di nuova formazione (Scansano, Castellottieri, Onano, Piancastagnaio) (fig. 1)

In questi luoghi gli ebrei, protetti dai feudatari, continuarono a vivere liberamente mescolati con i cristiani e senza restrizioni.
Non a caso il famoso medico ebreo David de Pomis, rifugiatosi nel 1555 a Pitigliano al servizio del conte Niccolò IV Orsini, chiamò Pitigliano, Sorano e Sovana «città rifugio per gli ebrei», definizione che ebbe poi sicura conferma.
Una condizione particolare si creò a Sovana, città in decadenza e quasi spopolata, dove la mancanza di uomini consentì ai banchieri ebrei di partecipare ai Consigli della Comunità e ai primi del ’600 furono concesse case e terre a chiunque venisse ad abitare a Sovana, compresi gli ebrei; il tentativo di ripopolamento anche con ebrei fu una eccezione interessante, anche se non ebbe successo a causa della malaria, che affliggeva la città.
Con l’acquisto della Contea di Pitigliano nel 1608 i Granduchi di Toscana si trovarono di fronte l’anomalia degli ebrei locali rispetto a quelli di Firenze e Siena; così, pure nella Contea furono istituiti i ghetti: a Sorano nel 1619, a Pitigliano nel 1622.
Però a Sorano il ghetto fu fatto con la permuta delle case tra cristiani ed ebrei, che ne conservarono la proprietà, mentre a Pitigliano l’estinzione di alcune Comunità ebraiche e la distruzione della città di Castro nel 1649 fecero aumentare la popolazione ebraica, costringendo le Autorità a consentire di abitare fuori dal ghetto.
Così il ghetto perse il suo carattere di separazione e divenne un quartiere come gli altri, abitato da ebrei. Negli altri luoghi feudali gli ebrei non conobbero il ghetto.
D’altra parte l’Amministrazione medicea si rese conto del ruolo commerciale svolto dagli ebrei delle Contee tra lo Stato Pontificio e il porto di Livorno, così facilitò la loro accoglienza in Contea e concesse largamente l’esonero dal segno distintivo, favorendo l’attività commerciale degli ebrei.

Se dunque i rapporti con l’Autorità civile erano positivi, anche quelli con l’Autorità ecclesiastica si rivelarono buoni; i Vescovi della Diocesi di Sovana, nel cui territorio erano comprese ben sette Comunità ebraiche, in genere non furono rigorosi nell’applicare le norme di «nessuna familiarità» degli ebrei con i cristiani, anzi più volte intervennero a favore degli ebrei in casi di intemperanze della popolazione.
Anche il clero non aveva atteggiamenti negativi verso gli ebrei: i preti accendevano prestiti, facevano spese nelle loro botteghe, affittavano ad ebrei beni stabili delle chiese e delle confraternite; in alcuni luoghi i sacerdoti andavano nelle case degli ebrei ad insegnare ai loro figli.
A Sorano addirittura l’Arciprete, profittando che la canonica era sopra il ghetto, tramite una botola faceva venire gli ebrei a giocare a carte in canonica.
Anche il rapporto con la popolazione cristiana era andato migliorando nel tempo, tanto che a Piancastagnaio e a Santa Fiora i cristiani invitavano gli ebrei nelle loro case in occasione di feste e balli e mangiavano con loro all’osteria.
I rapporti tra cristiani ed ebrei erano facilitati anche dalla possibilità di fare soccide e mezzerie; la soccida era un contratto per allevare il bestiame tra uno che metteva il capitale (l’ebreo) e uno che metteva il lavoro (il cristiano), dividendo poi i ricavi a metà; altrettanto accadeva per i contratti di mezzeria per la coltivazione del grano.
Oltre alla possibilità di fare soccide e mezzerie, gli ebrei del territorio feudale potevano possedere beni stabili e non avevano restrizioni per il commercio, che partendo da quello dei tessuti si estese ai prodotti agricoli, al cuoio e pelli, al legname, alle spezie e a ogni genere commerciabile.
Gli ebrei prendevano in affitto anche complessi di beni di famiglie eminenti; nel 1742 l’ebreo pitiglianese Samuele Servi ottenne perfino l’affitto della Contea di Santa Fiora e il genero Salomone Servi nel 1749 ottenne quello della Contea della Triana.
Si tratta di un fatto eccezionale, perché l’affittuario di una Contea assumeva alcuni poteri giurisdizionali del feudatario come la riscossione di tasse, forme di controllo su alcuni sudditi, possibile uso della forza pubblica verso i debitori morosi; ciò poneva l’ebreo affittuario al di sopra dei sudditi cristiani e questo all’epoca non era ammissibile.
Con la Riforma delle Comunità del 1783, il granduca Pietro Leopoldo di Lorena concesse agli ebrei di poter essere eletti nei Consigli comunali e subito Pitigliano ebbe un consigliere ebreo.
Dalla metà del ’600 nel territorio feudale erano rimaste solo le quattro Comunità ebraiche di Pitigliano, Sorano, Santa Fiora e Piancastagnaio; anche le ultime tre si estinsero nel corso del ’700.
In questo territorio di confine, cominciando dalle «città rifugio» di David de Pomis, gli aspetti di convivenza tra ebrei e cristiani, passando attraverso luci ed ombre, si erano consolidati e restarono come “Patrimonio della Comunità di Pitigliano”, l’unica rimasta e nella quale si erano concentrati gli ebrei della zona feudale.
Proprio alla fine del XVIII secolo, nel 1799, accadde l’episodio che consolidò definitivamente il buon rapporto tra ebrei e cristiani.
Nell’ambito dei moti antifrancesi del “Viva Maria” arrivò a Pitigliano un gruppo di dragoni, che commise insolenze, impose requisizioni agli ebrei e minacciò di saccheggiare il ghetto; allora la popolazione cristiana intervenne in armi in difesa degli ebrei, uccidendo alcuni dragoni e imprigionando gli altri.
Questo è un episodio unico in Italia a fronte di violenze e perfino eccidi di ebrei, che contemporaneamente avvennero a Siena, a Lugo, a Senigallia, a Monte San Savino, dove la Comunità ebraica fu cancellata definitivamente.
Così la Comunità ebraica di Pitigliano entrò nell’Ottocento, il periodo della sua massima floridezza demografica, economica e culturale, tanto da superare le 400 unità alla metà del secolo e raggiungere l’alta percentuale del 12% sull’intera popolazione.
Il forte aumento demografico costrinse gli ebrei pitiglianesi a cercare nuovi spazi al di fuori di Pitigliano, aprendo attività commerciali nei centri vicini sia del Granducato di Toscana (Sorano, Castellazzara, Manciano, Montemerano, Scansano, Orbetello, Grosseto ecc.) sia dello Stato della Chiesa (Acquapendente, Grotte di Castro, Gradoli, Latera ecc.).
Si creò così una “Comunità diffusa” sul territorio, che però faceva capo all’unica Comunità di Pitigliano, dove c’era la sinagoga, il rabbino, il cimitero, la scuola ebraica, i servizi comunitari.
Nell’Ottocento la Comunità ebraica di Pitigliano, in crescita anche culturale, espresse personalità di livello nazionale, come i rabbini Daniele Pergola, Samuele Colombo, Mosè Sorani, che diresse il Collegio rabbinico di Roma, Flaminio Servi, fondatore del giornale Il Vessillo Israelitico, oltre a Dante Lattes, giornalista, biblista, paladino del sionismo di livello internazionale.
Con l’Unità d’Italia si ebbe la completa emancipazione degli ebrei, ai quali si aprirono nuovi orizzonti come l’accesso alle professioni e agli impieghi pubblici.
Alcuni ebrei pitiglianesi divennero segretari comunali, altri arrivarono alla carica di Sindaco come Aristippo Sadun a Manciano nel 1898-1899, Azzaria Lattes nel Comune di Monte Argentario nel 1905-1906 e più tardi Samuele Spizzichino, eletto Sindaco a Latera (1944-1946), dopo essere stato perseguitato dai tedeschi e aiutato a nascondersi dalla popolazione locale.
L’elezione di Sindaci ebrei da parte della popolazione cristiana indica l’ottimo livello di stima raggiunto da alcuni ebrei, e in genere il buon rapporto ormai consolidato.
Ce ne fornisce testimonianza un professionista, venuto da fuori ad abitare a Pitigliano, il quale riferisce:
un fenomeno che io osservo dal 1906 […] a cui è insensibile il pitiglianese, apparisce immediatamente al forestiero che si trattenga in Pitigliano: la unione tra ebrei e cristiani […]. Io dico che gli ebrei possono anche litigarsi con i cristiani, ma questo non rompe l’amicizia e l’unione […] in Pitigliano non ci sono più cristiani ed ebrei, c’è un incrocio ebraico-cristiano […].
D’altra parte l’avvio di matrimoni misti tra ebrei e cristiani dalla metà dell’Ottocento consolidò e approfondì ancora di più i rapporti, anche se contribuì alla decadenza della Comunità ebraica (i figli di solito venivano battezzati), insieme all’emigrazione verso le grandi città.
Tuttavia nel 1936, a ridosso delle Leggi razziali, c’erano ancora a Pitigliano una settantina di ebrei e un rabbino.
L’applicazione rigida delle Leggi razziali da parte di funzionari fascisti venuti da fuori portò all’allontanamento di singoli e di famiglie di ebrei, ma, al momento delle persecuzioni nazifasciste e delle deportazioni, gli ebrei della zona trovarono accoglienza e protezione dalla popolazione, che li aiutò e li nascose nel territorio pitiglianese e dei Comuni vicini di Sorano, Manciano, Valentano e tutti si salvarono.
Gli ebrei pitiglianesi deceduti nei lager furono tutti catturati altrove.
Non a caso quattordici persone di sette famiglie di Pitigliano e della zona sono state riconosciute tra i Giusti tra le Nazioni e i loro nomi figurano nel giardino dello Yad Vashem di Gerusalemme.
Il dramma della Seconda guerra mondiale determinò la fine della Comunità ebraica, che per ben mezzo millennio era vissuta a Pitigliano.
Ma negli anni ’90 il recupero del quartiere ebraico e la fondazione dell’Associazione La Piccola Gerusalemme tra ebrei e cristiani, presieduta egregiamente dalla signora Elena Servi, determinò una vera e propria rinascita, tanto che le emergenze ebraiche (sinagoga, bagno rituale, cantina e macelleria kasher, forno delle azzime ecc.) sono diventate parte integrante del patrimonio storico e monumentale di Pitigliano e una eccezionale attrattiva turistica.