La Haggadà di Poblet

Haggadah de Poblet, Abadía de Poblet, Riopiedras Ediciones, Barcelona 1993. Fol. 2, Incipit del testo.

Per chi non lo sapesse o per chi ne avesse interesse, esistono fuori dalla Spagna pochissimi esemplari della Haggadà di Pesach scritti in Catalogna verso la metà del secolo XIV come, per esempio, l’eccellente e famosa Golden Haggadah e un’altra simile, chiamata appunto per questo Sister Haggadah, che si trovano alla British Library di Londra, o la Kaufmann, conservata nell’Accademia delle Scienze di Budapest; un altro esemplare con stupende miniature si trova nella John Rylands University Library di Manchester e un altro bellissimo è a Sarajevo – se lo portarono dietro gli ebrei sefarditi costretti a fuggire dalla Spagna nel 1492. Da allora se ne persero le tracce. Poi, dopo diverse peripezie il manoscritto riapparve alla fine del XIX secolo, quando fu acquistato dal Museo Nazionale della Bosnia dalla famiglia di Josef Kohen. Dopo altre avventurose vicissitudini sorprendentemente, in occasione della festa di Pesach del 1995, il presidente bosniaco Izetbegović lo trasse dall’occultamento e lo donò formalmente alla comunità ebraica di Sarajevo (il libro era rimasto nascosto per anni prima nella cassaforte del museo e poi in quella della Banca Nazionale durante la guerra in Bosnia Erzegovina). 
Ma esiste un altro esemplare della Haggadà di Pesach scritto ed illustrato in Catalogna nella seconda metà del secolo XIV: esso si trova nel monastero di Santa Maria de Poblet, a sud di Barcellona (fig.1). Poblet è il monastero dell’ordine cistercense più importante e meglio conservato d’Europa, dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. I rapporti fra i monaci di Poblet e gli ebrei di Catalogna furono sempre caratterizzati da reciproco rispetto ed amicizia. Nel corso dei secoli i monaci furono aiutati in diverse occasioni dagli amici ebrei presenti nella regione, anche con prestiti a condizioni vantaggiose. E nella seconda metà del secolo XV perfino Juan II d’Aragona, uno degli otto re di Catalogna sepolti nel monastero di Poblet, fu operato di cataratta e con successo dal famoso oftalmologo ebreo Cresques. 
Anni fa, in occasione del cinquecentesimo anniversario dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna per mano de los Reyes Catolicos, il monastero di Poblet fece stampare un facsimile della Haggadà che i monaci, oggi ridotti a una ventina, avevano custodito per secoli come una perla religiosa: mille esemplari in una edizione di lusso.

Fig.2 Maghen David, con maror in trasparenza, folio 17. Da Haggadah de Poblet, Abadía de Poblet, Barcelona 1993.
Fig.1 Monastero di Santa Maria de Poblet. Da Haggadah de Poblet, Abadía de Poblet, Barcelona 1993. 

La Haggadà di Poblet non è così ricca di ornamenti e di colori come le sue cinque “sorelle“  sopra menzionate, ma ha un valore particolare perché, per quanto si sappia, è l’unica d’epoca medievale a carattere sefardì orientale esistente oggi in Spagna. Il testo, scritto su quaranta fogli di pergamena di capra e di vitella, è redatto principalmente in lettere quadrate sefardì, di diversi formati, di colore marrone e rosso. Le illustrazioni sono poche, si contano sulle dita d’una mano. La più sontuosa si trova all’inizio (fol. 2): le due lettere iniziali del testo aramaico, hei e alef, in caratteri aurei, sono inquadrate da una struttura architettonica gotica (colonne, torrette, ogive) e policroma (azzurro, rosa, verde e violetto) e da due draghi alla base.

Fig.2 Maghen David, con maror in trasparenza, folio 17. Da Haggadah de Poblet, Abadía de Poblet, Barcelona 1993. 

Nei fogli seguenti del testo haggadico c’è, come sempre, una selezione di passi biblici da Deuteronomio, Numeri, Levitico, Esodo, Genesi e Giosuè. Seguono alcuni piyyutim pasquali, diverse orazioni e un colofone poetico. Sono leggibili anche alcuni nomi, probabilmete dei proprietari del volume e diverse note al margine, non sempre ben scritte, forse da uno scriba principiante o forse da un proprietario del volume. C’è anche un folio (17) con un maghen David in un cerchio di 3,5 cm di diametro, dai colori viola chiaro, verde e qualche pennellata d‘oro e un maror, di colore verde, che però assomiglia più a un carciofo che a un’erba amara (fig.2). E c’è un folio (32) con un elegante schizzo monocolore d’un leoncello ruggente in posizione aggressiva.
I monaci di Poblet vollero far ristampare la loro Haggadà non solo come segno di riconoscenza e di fratellanza verso gli ebrei di Catalogna, ma anche per offrire agli ebrei di tutto il mondo, in particolare ai sefarditi, l’occasione di possedere un facsimile del manoscritto così prezioso che avevano conservato per secoli con amore e devozione.

Nota bibliografica
Haggadah de Poblet, Abadía de Poblet, Riopiedras Ediciones, Barcelona 1993.

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